L’inversione termica

Published by

on

In questo articolo vi spieghiamo in cosa consiste questo peculiarissimo fenomeno meteorologico

Avete presente il pettirosso? Quell’uccellino che si vede solo quando c’è la neve, che si accontenta al più delle briciole, riponendo la speranza in rari pasti gustosi a base di frutta matura. Ecco, l’appassionato di meteorologia è come il pettirosso. D’estate si rintana beneficiando al più del refrigerio portato da qualche temporale, ma la sua stagione è l’inverno, allorchè, specialmente se nevica, egli esce da solo per le strade deserte, sfidando il freddo e le intemperie. Anzi, ben vengano freddo e intemperie, è questo il suo cibo! Normalmente, anche questo sfuggente elemento della fauna italica, placa la sua fame con abbondanti nevicate, ma negli ultimi anni avari ha dovuto accontentarsi principalmente delle briciole.

Vittima, come tanti meteoappassionati, della monotonia di questo ennesimo inverno mite, qualche giorno fa mi sono messo a spulciare gli archivi delle stazioni della nostra provincia, alla ricerca anche di qualche misera gelata che potesse minimamente appagare questa maledetta fame meteorologica. Cominciai dalle stazioni di pianura, le uniche che in condizioni di stabilità possono simulare condizioni pseudo-invernali, e presto mi resi conto che la situazione…non era poi così male. Pensai: “Forse le masse d’aria portate dall’anticiclone non sono così calde”, ma mi è bastato rivolgere lo sguardo alle centraline poste a quote collinari per rendermi conto che là la situazione era del tutto primaverile. Massime frequentemente oltre i 10°C, minime negative che si contavano sulle dita di una mano: un disastro! Situazioni diametralmente opposte in una manciata di metri, anzi, in un battito d’ali di pettirosso, per restare in tema. Mi chiesi allora: “Perchè non scrivere un articolo su questa situazione di incredibile inversione termica?”. Ed eccomi qui, allora, a provare a fornire una spiegazione a questo fenomeno che in inverni statici come questo concede le briciole ai meteoappassionati di pianura, mentre quelli di collina, generalmente abituati a pasti più abbondanti, fanno la fame.

Che cos’è?

Partiamo direttamente con un confronto tra i dati di due stazioni della rete lineameteo: Medicina (25 mslm, area relativamente poco urbanizzata e quindi meno influenzata dall’isola di calore rispetto ad esempio a Bologna) e la nostra stazione di Borgo di là (375 mslm, lontana dai fondovalle).

Se dovessimo fare un sondaggio e chiedere alla gente se si aspetta, in inverno, di trovare temperature più basse in collina, il 90% risponderebbe di sì, e invece il grafico racconta una situazione totalmente opposta, o per meglio dire “invertita”. Da qui il termine “inversione termica”, un fenomeno per nulla raro, anzi proprio della nostra climatologia e di tutte quelle aree con caratteristiche climatiche a forte componente continentale.

Le cause

Il fenomeno dell’inversione termica si genera in determinate aree geografiche, ovverosia l’orografia del territorio gioca un ruolo determinante nel consentirne o meno la formazione. Si tratta quindi di un fenomeno legato al microclima e la cui intensità dipende dall’interazione tra le condizioni meteorologiche presenti a macroscala e il territorio. Di seguito ho elencato i fattori che ne favoriscono l’instaurazione, dopodichè fornirò per ciascuno una breve spiegazione scientifica:

  • bilancio radiativo favorevole
  • alta pressione
  • clima a regime continentale
  • (neve al suolo)
Bilancio radiativo

Partiamo dal principio: non è il Sole a scaldare l’aria. No, chi ha redatto questo articolo non stava facendo uso di sostanze. La nostra stella irradia il globo con una potenza di 342 Watt su metro quadrato di superficie, ma l’atmosfera è in larga parte trasparente ad essa, e così la componente che non viene riflessa dalle nubi o dal suolo viene assorbita (in larga parte da mari e continenti in quanto assorbono una percentuale più elevata della radiazione visibile) e riconvertita in radiazione a onde “lunghe”, il calore appunto, che poi per conduzione viene trasmesso all’aria adiacente alle superfici. Nelle ore notturne, tramite il processo inverso, il suolo rilascerà gran parte di questo calore tramite irraggiamento, finchè non si troverà a una temperatura inferiore a quella dell’aria soprastante, da cui nelle ore seguenti assorbirà calore, raffreddandola. Nel semestre luminoso, la prevalenza di ore di luce su quelle di buio favorisce l’accumulo di calore, che viene poi redistribuito dalle figure atmosferiche, che cercano di far raggiungere l’equilibrio termico. Non a caso, il fenomeno dell’inversione termica si verifica principalmente in inverno, quando il bilancio radiativo è “in perdita”, e può quindi svilupparsi meglio, soprattutto con cielo sereno e nelle zone a limitata circolazione dell’aria. Da qui, arriviamo al secondo punto.

Alta pressione

Può sembrare paradossale, ma per favorire la nascita di questo strato freddo occorrono condizioni che solitamente favoriscono il caldo. E i motivi sono molteplici. Anzitutto, i campi di alta pressione dinamici, ovvero quelli associati a geopotenziali più alti della norma (per farla semplice, quelli contrassegnati con colori caldi sulla carta) sono originati dall’aria fredda e secca in quanto più densa, che quindi, come ci suggerisce il nostro caro vecchio amico Archimede, non starà a galla bensì precipiterà a causa della forza gravitazionale, spodestando quella più mite sottostante, che risalirà per convezione in altre zone (quelle di bassa pressione). Assumendo molto semplicisticamente che l’atmosfera sia un gas perfetto (non me ne vogliano gli esperti…), il suo comportamento potrà essere approssimato dalla legge PV/T = costante, dove P è la pressione, T la temperatura e V il volume. Considerando come sistema una massa d’aria che per densità “cade” lungo la verticale, essa si troverà quindi sottoposta a un peso (e quindi ad una pressione) via via maggiore a causa della colonna d’aria via via maggiore che la sovrasta. Se P aumenta, per mantenere il rapporto PV/T costante occorre che il V diminuisca e che T aumenti. Una massa d’aria più calda richiede più umidità per saturarsi, ovvero per raggiungere il 100% di umidità relativa (relativa a cosa? al punto di saturazione!). Con questa estrema banalizzazione (atta più a far capire che non a descrivere come stiano realmente le cose) di una trasformazione adiabatica, si può giustificare l’aumento di temperatura che normalmente caratterizza gli anticicloni e la concomitante scomparsa delle nubi con conseguenti condizioni stabili e di cielo sereno. Vi siete mai svegliati con una bella brinata ed il cielo nuvoloso? Scommetto di no: ebbene, la brina è il risultato di cieli sereni che hanno favorito una grande dispersione di calore da parte dei suoli, che hanno raffreddato a tal punto l’aria a contatto con essi da portarla a saturazione (rugiada con temperature positive, brina con temperature negative o poco positive). Infatti, se di giorno le nubi riflettono parte della radiazione solare in entrata, di notte impediscono al calore irradiato dalle superfici di uscire dall’atmosfera, limitando il raffreddamento da irraggiamento notturno. A causa delle lunghe notti invernali, il potere dell’irraggiamento in condizioni di cielo sereno riesce a vanificare il riscaldamento indotto dalla compressione anticiclonica, specie dove la circolazione dell’aria è limitata (motivo spiegato al capitolo successivo), ovvero nelle pianure protette dai rilievi e nei fondovalle. Questa situazione può essere inoltre agevolata dall’ingresso di masse d’aria orientali, in quanto generalmente fredde e secche e che riescono quindi a sedimentare alle quote inferiori. Una situazione di questo tipo è visibile nell’immagine a corredo del paragrafo, relativa al 14 Gennaio, quando oltre a pressione elevata avevamo deboli differenze di pressione sul Nord Italia, il che comporta ventilazione scarsa, e una massa d’aria gelida molto vicina. La forte inversione termica è testimoniata dal raffronto termico tra le due località, con uno scarto che ammonta a quasi 7°C!

C’è inoltre un ultimo aspetto da tenere in considerazione. Riprendiamo un’ultima volta la formula di prima. Abbiamo detto che gli anticicloni sono generati da aria asciutta, la cui compressione determina un aumento della temperatura, ben testimoniato dalle rilevazioni a quote collinari. La scarsa radiazione solare invernale e le temperature più basse favoriscono un’umidità relativa maggiore (al suolo), e la convezione scarsissima impedisce i movimenti convettivi dell’aria con continuo arricchimento di umidità della stessa, il che in ultima analisi favorisce la condensazione della massa d’aria (dicesi “parcella”). Abbiamo una massa d’aria che è quindi propensa a condensare, ovvero allo stato di vapore. Questo stato fisico predispone la nostra parcella, contrariamente a quelle miti e secche delle quote superiori, ad ulteriore condensazione, praticamente il processo opposto! Se siamo quantomeno prossimi alla saturazione, in una situazione in cui la condensazione comincia ad avvenire, la compressibilità dell’aria diventa maggiore, e, tramite il rapporto PV/T, il volume è maggiormente libero di diminuire, con conseguente aumento minimo o nullo della temperatura. La formazione di uno strato nebbioso sulle pianure, frequente per i suddetti motivi in condizioni di alta pressione, favorisce il persistere dell’inversione anche di giorno poichè la nebbia riflette i raggi solari, e il poco calore presente deve essere impiegato per far evaporare le goccioline di acqua liquida che compongono la nebbia (calore latente di evaporazione). Il motivo per cui durante le giornate di nebbia si può assistere a un sollevamento dei banchi è costituito dal debole riscaldamento dei suoli, che per conduzione riscalda l’aria a contatto con essi, che quindi può nuovamente contenere più umidità e riassorbe le gocce di condensa presenti in essa, il tutto però a spese della temperatura. Un’ultima precisazione doverosa: la nebbia è come una nube, dunque se inizia a superare i 50/100 metri di spessore può preservare l’aria fredda, ma allo stesso tempo impedire ulteriori raffreddamenti poichè scherma l’uscita della radiazione infrarossa (non a caso l’acqua gassosa è un gas serra). Nelle giornate di nebbia diffusa, infatti, le temperature minime notturne non si registrano infatti, come avviene di consueto, nella bassa pianura, bensì alle quote “limite” dello strato nebbioso.

Clima a regime continentale

I fattori morfologici che determinano lo sviluppo di un microclima con forte tendenza all’inversione termica sono essenzialmente due: subsidenza del territorio e distanza dal mare.

Un’area geograficamente depressa rispetto al circondario si trova riparata da gran parte della ventilazione, e non c’è esempio al mondo più calzante della Pianura Padana: l’imponente baluardo alpino, con le sue cime ammantate da nevi perenni che svettano diffusamente oltre i 3500 metri di altitudine, costituiscono un ostacolo più facile da aggirare che non da scavalcare per i venti che spazzano l’Europa, e così, quando da Ottobre la convezione scema di pari passo con il tracollo della radiazione solare, l’aria si stratifica, si creano nebbie, inversioni, e coriacei cuscinetti di aria fredda alla base delle ormai sempre meno frequenti nevicate, recentemente sfavorite dalla scarsità di perturbazioni invernali. E noi meteoappassionati sguazziamo in questo mare di nebbia e freddo pungente, per rilevare anche il più infimo -0,1°C, sbrinando volentieri il vetro della macchina prima di andare al lavoro o a scuola e disposti a chiudere un occhio sul male che questa stagnazione atmosferica comporta: l’inquinamento. E così, ogni inverno, al primo promontorio anticiclonico parte questo loop, un circolo vizioso che si autoalimenta, e che può portare talora a condizioni di crudo inverno mentre qualche centinaio di metri sopra le nostre teste qualcuno fiuta aria di primavera. E questo equilibrio si fortifica, talora va oltre la logica (come durante le gelide nebbie e galaverne del gennaio 1990), ma a patto che la ventilazione resti blanda, altrimenti il rimescolamento continuerebbe a cambiare la massa d’aria a contatto con il suolo, impedendo un raffreddamento prolungato della stessa. Basta un refolo un po’ più acceso del dovuto per smontare tutto, come il 19 Gennaio, quando l’ingresso di venti di Bora ha ripristinato un gradiente termico verticale “classico”, riportando l’inverno a Borgo di là e ponendovi fine temporaneamente a Medicina.

L’influenza orografica acquisisce tanto più peso quanto più si procede verso ponente, laddove Alpi e Appennini si stringono la mano: l’inespugnabile Nord-Ovest, roccaforte delle inversioni, ha bisogno di ben altro per essere messo alla prova, solo un Favonio rabbioso come quello occorso prima di Natale può scalfirne il rigido strato pellicolare adiacente al suolo, incuneato nelle vallate astigiane, dove anche a Ottobre le gelate possono manifestarsi con frequenza.

Il mare ed i grandi bacini idrici in generale presentano infatti un’elevata inerzia termica che il suolo non ha. Questo disturba lo sviluppo di uno strato inversionale per 2 motivi. In primis, durante la notte lo specchio d’acqua si comporta come una fonte di calore, il che finisce inevitabilmente per condizionare la vicina area costiera. In secondo luogo, spesso la diversa velocità di raffreddamento delle due superfici determina una differenza di pressione che provoca venti locali: l’aria più fredda di giorno è sul mare, e spira verso la costa mitigando il rialzo termico, mentre di notte avviene l’opposto. Questo favorisce ventilazione proveniente dall’interno durante la notte, il che può far pensare ad un raffreddamento più veloce, ma l’intensità stessa del vento induce il rimescolamento, dunque alla fine l’efficienza è minore, e qualsiasi confronto fra i dati delle stazioni interne e quelle di costa porta a questa conclusione. Aggiungiamoci poi che le zone costiere non sono minimamente riparate dalla ventilazione sul lato rivolto al mare.

Neve al suolo

Ho scelto di mettere questa forzante passiva tra parentesi in apertura perchè ormai, di fatto, non riguarda quasi più quelle zone dove può avere effetti degni della Lapponia, ovvero la pianura. La copertura nevosa rappresenta uno degli effetti di feedback più importanti nel contrasto al Riscaldamento Globale: la neve fresca, infatti, è capace di riflettere anche il 90% della radiazione solare, ed è presto comprensibile anche il motivo dell’amplificazione artica. Le anomalie sempre più importanti nelle zone una volta ricoperte dal ghiaccio sono dovute al radicale cambio di bilancio radiativo, che implica un maggiore assorbimento di radiazione e quindi accelerato riscaldamento del suolo e dell’aria soprastante, che si aggiunge all’aumento di temperatura media globale.

Se sui rilievi la presenza di neve al suolo può non fare grossa differenza a causa dell’esposizione alle brezze rimescolanti, in pianura, specie di notte, un buon albedo può determinare errori previsionali a rialzo anche di 10°C. Non a caso, è in queste sempre più rare situazioni che il meteorologo, grazie alle proprie conoscenze, deve correggere a ribasso i calcoli dei modelli per la temperatura, specie nelle conche e nelle aree di bassa pianura, dove l’aria fredda ristagna meglio. Non è raro, infatti, raggiungere i -10/-15°C a fondovalle e in aperta campagna in queste situazioni, anche senza masse d’aria particolarmente fredda in circolazione. Insomma, un’ondata di gelo autoprodotta.

Sperando che l’articolo vi sia piaciuto, vi auguro e vi auguriamo di poter presto tornare ad uscire sotto la neve come fa il pettirosso, possibilmente in un futuro non troppo remoto.

Centro Meteorologico Bolognese

Rispondi

Scopri di più da Centro Meteorologico Bolognese

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading